sabato 1 gennaio 2011

Wikileaks? Non vale nulla...

Per mesi ho avuto altro da fare. Disgustato all'inverosimile da ciò che mi circondava ho abbandonato il mio piccolissimo blog e mi sono dedicato a cambiare la mia piccolissima vita. Sono felicemente passato ad un paese governato da una monarchia illuminata (talmente ricca da potersi permettere anche l'illuminazione) e ho lasciato l'Italia, convinto com'ero (e come sono) che mi era necessario un periodo di disintossicazione da una nazione che, personalmente, ritengo uno dei posti più schifosi e intossicanti nel quale vivere oggi.
Ho continuato (non potevo farne a meno) ad informarmi su quello che succedeva nello stivaletto, e ogni volta la nausea raggiungeva nuovi apici portandomi, qualche volta, a vomitare davvero e non solo metaforicamente.
Oggi mi è venuta improvvisamente voglia di rimetere le mani alla tastiera. Non è stato casuale. Ho visto il documentario che vi propongo sotto, e non ho saputo resistere alla voglia di dire la mia ;-).

Wikileaks non vale nulla. Julian Assange non vale nulla. Le loro idee non sono loro. Le loro idee sono quelle che hanno inspirato decine di hacker nel mondo (prima di loro). Le loro idee cambieranno (lo hanno già fatto) il mondo. 
Non esiste informazione (che riguardi un numero consistente di persone) che non deve essere pubblica. 
Un assunto che già in passato mi ha portato parecchie critiche, e sul quale ho discusso con tanti amici, e nel quale credo fermamente.
Una democrazia che nasconde informazioni non è democrazia.
La democrazia si basa su un assunto molto semplice. Io, cittadino informato, decido in libertà, sulla base delle informazioni di cui sono in possesso, a chi dare il mio voto. Se le informazioni in mio possesso sono buone, molto probabilmente anche il mio voto lo sarà. Se le informazioni in mio possesso sono scarse, o artate, o comunque parziali, il mio voto rifletterà queste pre-condizioni. Immagino già le decine e decine di obiezioni, tutte valide, sul cittadino informato. Ma la democrazia, macchina imperfetta di governo, non prevede l'obbligo di essere informati. Ma è comunque importante che l'informazione sia lì, a disposizione di chi volesse fruirne.
Ma torniamo agli amici di Wikileaks. Perché sono convinto che non contino nulla? Beh, in verità non lo sono, nel senso che credo che abbiano avuto una grande importanza. Quella di aver tradotto, per la prima volta in scala mondiale, l'idea che le informazioni pubbliche appartengano al pubblico. Le immagini che vedrete nel documentario, e che probabilmente avete già visto, dovrebbero essere viste in continuazione, su ogni mass-media del mondo. Ci mostrano il vero volto della guerra, qualsiasi sia il nome invocato per combatterla. È merda, è inferno, è dolore e tragedia. Si, ci siamo abituati a tutto ciò. Come anestetizzati da quel cubo di merda che è la televisione, che addormenta le nostre vite e spaccia per normale e asettico ciò che normale e asettico, se capitasse a noi, non sarebbe.
Perché dico che non contano nulla? Perché stanno restando invischiati in quel meccanismo infernale, generato sempre da quel cubo di merda, chiamato "protagonismo". L'identificazione di Wikileaks con il suo co-fondatore Julian Assange è esattamente quello che il potere vuole.
Nel momento in cui Assange "diventa" Wikileaks, sporcare Wikileaks diventa un gioco da ragazzi. Ed è esattamente quello che è successo e sta succedendo. Assange è uno stupratore? Personalmente non lo credo, ma nel momento in cui lui incarna l'organizzazione, un'accusa del genere, ancorché ingiusta, diventa una gigantesca macchia sull'organizzazione e tutto ciò che è stato fatto.
Nel momento in cui lui decide per gli altri cosa fare, quando rilasciare i leaks e in che modo farlo, lui "diventa" Wikileaks. E fa agli Stati Uniti, e al resto della compagnia, il più grande favore si potesse immaginare.
Ed è per questo che mi incazzo e dico che Wikileaks e Assange non valgono nulla. Un'organizzazione del genere, che incarna e riflette in grande parte lo spirito e la filosofia della rete, non possono e non devono avere un capo, una guida, un guru. Nel momento in cui ce l'hanno, tornano a far parte del grande gioco del potere, che da sempre ci controlla con le stesse tecniche.
Non puoi attaccare le idee? Attacca chi le rappresenta. Costui avrà sempre una macchia, uno scheletro nell'armadio, qualcosa che permetterà al potere di incastrarlo. Se l'organizzazione non ha un capo, ma è strutturata secondo il principio dei nodi, il potere non potrà farle nulla. E, finalmente, il paradigma che ci tiene schiavi da sempre, potrà essere disintegrato. Io non conto, tu non conti, lui non conta, ma noi insieme abbiamo un potere incommensurabile. Quello di riprenderci il controllo delle nostre vite.
Benvenuti nel mondo che sarà, e al quale Wikileaks ha indubbiamente contribuito.








giovedì 8 aprile 2010

Mafia, 'Ndrangheta e Chiesa



Pochi giorni fa, sui giornali, campeggiava una notizia: spari sulla cancellata di un priore a Sant'Onofrio, paesino alle porte di Vibo Valentia.
Cos'è successo? Semplice. Michele Virdò, priore della confraternita del Santissimo Rosario, che si occupa di organizzare la famosa “Affruntata” (manifestazione religiosa in cui i simulacri della Madonna e del Cristo risorto si incontrano con la mediazione di San Giovanni), insieme al parroco don Franco Fragalà, ha deciso di rispettare un documento inviato dal vescovo di Mileto-Nicotera-Tropea, Luigi Renzo, in cui si invitava a tenere lontane dalle processioni le “persone discusse”.
Si è quindi deciso di non procedere all'incanto, una specie di asta per raccogliere i fondi necessari all'organizzazione della festa, per decidere chi avrebbe portato a spalla la “vara” di San Giovanni, che in passato era sempre stato appannaggio delle famiglie di 'Ndrangheta locali.
Ovviamente i delinquenti non hanno gradito, e hanno manifestato il loro disappunto nell'unico linguaggio che conoscono: l'intimidazione. Ma la Chiesa ha mantenuto la barra e ha cancellato la manifestazione, dimostrando chiaramente l'intenzione di fare un po' di cristiana pulizia.

Per chi, come me, è nato e cresciuto in Sicilia, l'esistenza di zone grigie, se non di connivenza, tra criminalità organizzata e chiesa non è certo notizia sorprendente.
Al contrario è qualcosa di assodato, come l'aria che si respira. Tante volte ho sentito uomini di chiesa (laici e non) giustificarsi dicendo che anche i mafiosi sono figli di Dio e la chiesa non può rifiutare l'accoglienza alle pecorelle (ancorché smarrite) del Signore.
Argomentazione piuttosto fallace, ma che ha resistito e resiste ancora nelle menti di questi pseudo-cristiani della domenica.
Leggere quindi questa notizia mi ha ridato un po' di ottimismo e di fiducia in una istituzione che non mi è mai particolarmente piaciuta. In questi giorni di scandali che vedono la chiesa, a mio parere giustamente, accusata di aver coperto i preti pedofili, mi è sembrato quasi un segnale “divino”.
Pur non essendo cattolico ne tanto meno cristiano, ho sempre pensato che la chiesa potesse svolgere un ruolo importante nella nostra società, se portatrice di veri valori cristiani.
Da ragazzo anch'io ho frequentato la parrocchia vicino casa, e ho dei ricordi molto belli. Facevo parte di una piccola banda musicale creata da un padre missionario, padre Gabriele, di cui ancora oggi ricordo il sorriso. Un uomo speciale che per me è stato un esempio di vero amore verso il prossimo senza distinzione di razza, colore della pelle o fede religiosa.
Purtroppo, crescendo, altri sono stati gli esempi dati dai suddetti uomini di chiesa, sempre troppo propensi a predicar bene e razzolare male.
Ma questo priore, il parroco ed il loro vescovo, mi hanno ricordato che la chiesa è fatta di uomini, con tutti i loro vizi e le loro virtù.
Pensando a loro la mia mente è subito corsa al festino di S.Agata, a Catania, dove la mafia regna incontrastata e addirittura sfrutta la festività per raccogliere i soldi del pizzo (per gli scettici non catanesi vi rimando alla bellissima puntata di Report sull'argomento).
L'uso che si è fatto, e si fa, di una festa patronale così importante, è quanto di più anticristiano si possa immaginare. Le “candelore” che ballano sotto le case dei boss mafiosi, che si sfidano in prove di forza attorno alle quali si è sviluppato un fiorente giro di scommesse clandestine, è quanto di più schifoso si possa immaginare. Purtroppo il vescovo di Catania, Dio non lo abbia troppo in gloria, non ha ancora trovato la forza di opporsi a questo scempio.
Spero che l'esempio dato dai suoi confratelli calabresi, che si trovano a fronteggiare l'organizzazione criminale più potente d'Italia e forse del mondo, possa illuminare il suo cuore e quello di tanti altri uomini di chiesa che ancora oggi, al coraggio di Cristo, preferiscono l'omertà di Pilato.
Amen.

mercoledì 24 marzo 2010

Lavoro? O schiavitù?

Qualche giorno fa ho conosciuto una, per motivi anagrafici, anziana signora. È successo per caso, ero andato per intervistare la figlia ed invece ho scoperto la madre. Donna molto particolare perché, 50 anni fa, ha percorso le rotte dell'emigrazione nazionale al contrario e si è trasferita, seguendo il marito, da Genova in Sicilia. Il marito era un imprenditore del settore agrumicolo, nella Lentini degli anni caldi delle rivendicazioni sindacali dei braccianti. La nostra regione era ancora (ma è mai cambiata?) governata secondo le leggi del feudalesimo, con una concezione del lavoro molto simile alla schiavitù.
Mi raccontava di un nobile, proprietario anch'egli di giardini di arance, che girava a cavallo brandendo una frusta. Indovinate a cosa serviva? Bravi! A frustare gli operai. E mentre raccontava potevi leggere nei suoi occhi lo stupore che aveva provato nel vedere la passività col quale molti di questi lavoratori accettavano la loro condizione di schiavi. Mi ha raccontato di un operaio dell'azienda del marito che, quarant'anni dopo, è andato a trovarla. E che, ancora oggi, ricorda con nostalgia quegli anni perché, al contrario di molti suoi amici, aveva lavorato in una azienda dove "il padrone" dava del lei agli operai e non usava punizioni corporali o insulti come i suoi colleghi. Un imprenditore "illuminato" che aveva mostrato ai suoi operai una concezione del lavoro intrisa di dignità e di rispetto reciproco.
Mentre lei continuava a raccontare episodi di quella Sicilia lontana ormai mezzo secolo, io pensavo: e oggi? Siamo sicuri di esserci lasciati alle spalle quegli anni?
Mmmhhh...
Situazione attuale.
Per quel che ne so non esiste più la frusta (per quel che ne so), ma esistono ancora molte delle dinamiche di allora. Cos'è la precarietà se non una frusta che, non lasciando segni sulla pelle, fa molto più male? Come si può vivere, progettare un futuro, sposarsi o far figli quando l'unica certezza che si ha è che "del diman non v'è certezza"? Quando si vive la condizione di precario del lavoro ci si trova a subire un ricatto continuo e subdolo, quello del rinnovo del contratto, che rende il lavoratore prono a qualsiasi richiesta e quindi simile per condizione ad uno schiavo. Lo schiavo civilizzato del terzo millennio.
Non solo. Spesso questo schiavo moderno ha ottenuto il posto di lavoro per l'intercessione del "signorotto" di turno, ovvero il politico "amico".
Ed il cerchio si chiude.
Quello che stiamo vivendo poi in questi giorni, va ancora oltre.
La crisi favorisce il riaffermarsi della concezione ottocentesca del lavoro, dove il lavoratore deve già essere grato se gli viene concessa la possibilità di lavorare.
La minaccia di essere sostituito con un altro "lavoratore bisognoso" è come una frusta che ti colpisce continuamente, torturando i pensieri, e spaventandoti a morte. E sei disposto anche a lavorare in condizioni terribili, dove la sicurezza è una parola vuota usata anch'essa come minaccia. Dove se chiedi qualche diritto sei solo un rompicoglioni che fa casino. E ti conviene non alzare troppo la voce altrimenti vai a casa.

Mentre la signora continuava a raccontare questi pensieri invadevano la mia mente. Avevo voglia di dirle che oggi ben poco è cambiato. Sono cambiate le forme ma la sostanza è ancora la stessa.
Ma invece fu lei a gelarmi con una domanda.
Perché non vi ribellate? Perché siete tutti così rassegnati?
Non ho saputo rispondere...

martedì 16 marzo 2010

Dov'è il reato?



Ormai il copione è liso. Non serve più neanche leggerlo. Dopo 16 anni di teatro dell'assurdo è stato ormai imparato a memoria anche da quelli ai quali non era stato consegnato. E anche stavolta va in onda il mondo di sottosopra.

Dov'è il reato?

Il fido Scodinzolini, che ha improvvidamente utilizzato quello che è diventato il cortile della casa dell'imperatore, il TG1, per difendersi e dire che lui non è indagato, è stato platealmente smentito. Cosa dirà oggi? Riuscirà a trovare una briciola di dignità e si dimetterà? Il copione non lo prevede. Negare, negare sempre, anche di fronte all'evidenza più grossolana, negare sempre.

Dov'è il reato?

Il capo del governo che chiama un membro di una autorità garante (attenzione all'uso delle parole, autorità garante quindi super partes) e ordina di "aprire il fuoco contro Annozero", che chiede di cancellare Di Pietro perché ha una faccia che non gli piace (che esteta!), che si stupisce perché in televisione ancora riescono ad andare in onda giornalisti che lo criticano (meglio quelli che gli leccano il culo), che minaccia il suo soldato nell' Agcom di mandarli tutti a casa perché non riescono ad obbedire ai suoi ordini.

Dov'è il reato?

Se lo chiedono, con una retorica talmente schifosa da non meritare neanche una battuta, tutti gli uomini del presidente che insistono nel recitare il copione.

Dov'è il reato?

Dimenticano, costoro, che una politica seria (lo so, questa sembra si una barzelletta in Italia) non ha bisogno del timbro della Cassazione.
Esisteva una volta una cosa chiamata decenza.
Ma il copione non l'ha mai contemplata e quindi gli sgherri l'hanno rimossa.

Dov'è il reato?

Il reato è quello contemplato dal codice penale agli articoli 317 e 338, concussione e minaccia ad un organo politico, amministrativo o giudiziario.
E Mavalà Ghedini dovrebbe conoscere bene il codice penale. Ma soffre di amnesia temporanea congenita dettata dal bruciore del suo orifizio posteriore.

Dov'è il reato?

Il reato c'è. Punto.

Il fatto è che, ben più grave del reato, è l'indecenza che trasuda da questa storia.
La strafottenza nei confronti dei problemi degli italiani.
Il presidente del consiglio, nel pieno di una crisi che ha travolto e stravolto questo disgraziato paese, invece di tenersi impegnato a cercar soluzioni per aiutare gli italiani a sopravvivere a questa tempesta perfetta, si dedica anima e corpo a censurare e cancellare le trasmissioni televisive scomode.
Segue forse il famoso detto "occhio non vede culo non duole"?
O forse, conscio della potenza della televisione nel plagiare le menti, è impegnato a tenere il paese intero all'oscuro delle sue malefatte?

Per anni ce l'hanno menata, sinistra in testa, con la storia che la televisione non conta, che a parlare dei processi di Berlusconi gli si fa' un favore, che bisogna parlare d'altro.
Finalmente, e sicuramente non ce n'era bisogno, è lui in persona a smentirli tutti.

La televisione conta. TANTISSIMO!
Ed è per questo che lui l'ha occupata, manu militari, e non si preoccupa di nient'altro.
Per lui, l'unica cosa che conta è quella. La televisione.

È arrivato il momento, per tutti, di rendersene conto e agire di conseguenza.
Dagli editorialisti del Corriere ai baffuti soloni della sinistra, passando per tutti quelli che, consapevolmente o meno, lo hanno aiutato a mantenere questo paese sotto il più potente sedativo che la storia dell'essere umano abbia mai conosciuto.

Il reato c'è, ma paradossalmente è la cosa meno importante.

venerdì 12 marzo 2010

Il dittatore democratico

Finalmente. Adesso abbiamo delle prove inoppugnabili. Le parole del sultano che minacciano l'Agcom, accusandola di essere incapace di chiudere trasmissioni come Annozero (odiatissima, in quanto capace di fare audience facendo informazione) e Parla con me, colpevole di aver invitato prima Scalfari e poi Ezio Mauro. Mamma che scandalo!.
Ma facciamo un passo indietro, altrimenti rischiamo di non capirci poi molto.
Qualche anno fa, un magistrato della procura di Trani, in Puglia, apre un'inchiesta per usura a proposito di certe carte di credito, dette revolving, che applicano tassi di usura (secondo la denuncia) sullo scoperto non saldato entro il tempo limite. Le revolving sono quelle carte il cui scoperto va saldato entro e non oltre il 15 del mese successivo alla generazione dello scoperto.
Ma non è questo che ci interessa.
Indagando indagando, il magistrato e la Polizia Giudiziaria scoprono che c'è qualcuno che dice di poter intervenire sull'AGCom (che è anche garante dei consumatori) per cercare di circoscrivere lo scandalo e addirittura, forse millantando o forse no, che può intervenire sul direttore del TG1,
il famigerato Minzolini.
Sia come sia, il TG1 il servizio sulle carte di credito lo manderà in onda.
Ma ancora una volta la cosa interessa poco.
Il magistrato però, seguendo queste piste, si imbatte in qualcosa di gigantesco.
Le telefonate fra Berlusconi, Innocenzi dell'Agcom e Minzolingua, che Berlusconi chiama il direttorissimo.
E va in onda il gigantesco conflitto di interessi che da anni paralizza questo paese e lo tiene nella totale disinformazione. Sedato. Ipnotizzato.
Qualcuno dirà che non è una grande novità, che lo si sa da parecchio tempo.
Ma stavolta abbiamo le telefonate. E la conferma del motivo per cui Berlusconi vuole cancellare le intercettazioni.
Perché lui, al telefono, rivela il suo vero volto. Quello di un fascistoide che non sopporta nessuna critica, che esercita pressioni indebite su un ente pubblico, l'Agcom, che dovrebbe essere, per suo statuto, al di sopra e garante delle parti.
Il capo (come lo chiama Innocenzi in altre intercettazioni telefoniche) si chiede come sia possibile che Santoro vada ancora in onda, e chiede a Innocenzi di trovare un cavillo, qualcosa, per mettere a tacere per sempre Santoro. E lo fa con un tratto che, checché ne dica lui, lo contraddistingue da sempre. La violenza. La violenza che un despota esercita sui suoi sottoposti.
Arriva addirittura a minacciare di far dimettere l'Agcom in blocco se non trovano un modo per cancellare Annozero.
Potremmo definirlo il ritratto di un democratico convinto.
Ma il meglio arriva quando al telefono c'è il fido Scodinzolini, direttorissimo del TG1, che si dice pronto ad intervenire sulle vicende palermitane (Spatuzza&co.), e che all'indomani fa il suo ormai abituale “editoriale” definendo le parole di Spatuzza “balle”. Come un braccio armato del premier, si dice pronto a colpire se dovessero esserci altri stronzi da zittire.
I miei complimenti ai servi e ai padroni. Finalmente le carte sono in tavola.
Per quelli che ancora avessero qualche dubbio, il regime è servito.
Ed il pasto è ormai alla fine.
Non è rimasto più niente da mangiare.
Buona digestione.

giovedì 11 marzo 2010

Ministro, le prudono le mani?




Niente da fare. Anche questa occasione non è andata sprecata. Ancora una volta il sultano e i suoi sgherri non hanno rinunciato a dimostrare il loro vero volto, il loro modo di intendere il “governo” di questo paese. Non solo la faccia di tolla ceronata ha avuto il coraggio di mentire in maniera spudorata sull'episodio delle liste irregolari, inanellando, minuto dopo minuto, una fantasiosa ricostruzione (curata personalmente dal Berlusco-investigatore) piena di menzogne e falsità.
Ovviamente, pur essendo una conferenza stampa, e quindi luogo deputato alle domande dei giornalisti, nessuno si è alzato per smentire questo ducetto in delirio. 
Ha raccontato balle su balle, smentendo addirittura i suoi house organ (Libero e il Giornale), sapendo che nessuno avrebbe fiatato o gli avrebbe fatto presente che la sua ricostruzione è per l'appunto sua, cioè inventata da lui.
Non contento, quando un contestatore gli ha rivolto domande provocatorie, gli ha scatenato contro il suo cane da guardia preferito, il famoso Ignazio La Rissa, uomo a cui da una vita prudono le mani, ma che per sua fortuna (e perché ben protetto da una scorta) non ha mai incontrato qualcuno che gli facesse assaggiare un po' di bastonate. E tutto è diventato surreale. 
Un ministro della Repubblica (che solo incidentalmente si occupa di difesa) che mena un giornalista non si era mai visto.
Ma anche in questo l'Italia è sempre avanti anni luce rispetto agli altri paesi.
Nel giro di pochi giorni, dalla banda di corruttori che ridevano sui cadaveri caldi siamo passati ad un decreto per spiegare ai giudici come interpretare la legge (del più forte) fino ad un ministro dalle mani facili. Mancano soltanto delle squadracce in divisa (ma per quelle si stanno attrezzando) e poi saremo al completo.

Non si sa più cos'altro ci attende, ma credo che la resa dei conti sia vicina.

Stanno scherzando col fuoco. E si sa che fine fa chi scherza col fuoco...

sabato 6 marzo 2010

La casa delle libertà...

Chi ricorda i mitici spot de "L'Ottavo Nano"? Quelli della Casa delle Libertà?



Quello che è successo stanotte è l'ennesimo episodio di questa saga.
Con un colpo di mano vergognoso e arrogante, i nostri paladini hanno affermato ancora una volta il loro sacrosanto diritto di fottersene della legge, arrivando a calunniare (come fa Lupi nel video sotto) pur di salvare il culo e la faccia. E addirittura a denunciare per violenza privata alcuni Radicali, quando è stato evidente dal primo momento che la merdata era tutta all'interno del loro apparato digerente, pardon, dirigente.
E per risolvere la spinoza questione si sono premurati di suggerire ai giudici il modo corretto di interpretare la questione che li riguarda. Capolavoro nel capolavoro.

Ed il Capo dello Stato? Firma, p..ca p....na, FIRMA!

Il supremo garante delle regole della convivenza civile di questo paese, se ne frega delle regole ed anzi avalla (con una velocità che cozza sorprendentemente col nomignolo di Morfeo che si era guadagnato in passato) con una bella firma questo intervento a gamba tesa, l'ennesimo, nei confronti dei principi fondamentali di una democrazia. Vergogna nella vergogna.
In una vera democrazia, la richiesta di impeachment, sarebbe stata immediata.

Benvenuti in Italia, da oggi ufficialmente, dittatura della maggioranza.